La recente ondata di censura da parte del social network Facebook nei confronti di pagine che si occupavano di informazione, da un punto di vista filo-confederalismo-democratico, su quanto accade in Rojava costringe a riprendere il filo di alcuni discorsi.
Buona parte della così detta “controinformazione”, ovvero ciò di cui non si occupano i media legati a conglomerati editoriali e, quindi, a interessi economici particolari, passa oramai su Facebook e su Twitter.
Tramontate oramai da anni esperienze come il network globale di Indymedia – Indipendent Media Center, IMC – un network di controinformazione che nel suo momento di massima diffusione aveva contato decine di nodi sparsi per Europa, USA e America Latina e che costringeva i media mainstream ad inseguire quanto veniva su di esso pubblicato (pensiamo all’emblematico ruolo assunto da IMC Italy in occasione di Genova 2001), e tramontata la volontà di dotarsi di media autogestiti di massa ci si è dovuto affidare gioco-forza a sistemi come i social network controllati da corporation. Scrivo gioco-forza in quanto se da parte di molti la scelta di usare questi mezzi è stata fatta in quanto mancavano i mezzi per attuare una scelta altra da parte di alcuni ci si è cullati nell’illusione di poter usare – per fare il proprio gioco – e non farsi usare corporation come Facebook, che basano il loro modello di business sull’estrazione di valore dai dati.
Illusione perniciosa questa che ha dimostrato la propria debolezza per l’ennesima volta. Nel giro di pochi giorni facebook ha proceduto a un vero e proprio crackdown nei confronti di decine di pagine che si occupavano delle vicende del Rojava. Pagine da decine di migliaia di utenti, in cui chi le ha create ha investito un enorme quantità di tempo, risorse, economiche ma anche emotive, in alcuni casi anche centinaia di migliaia, sono state cancellate nel giro di pochi giorni. Perse, come lacrime nella pioggia e senza neanche l’epica di uno scontro su di un grattacielo di una megalopoli piovosa e di una frase ad effetto.
Certo anche gli IMC subirono innumerevoli tentativi di censura: procuratori che cercavano di sequestrare i server, blocchi dei DNS e perquisizioni nelle case degli amministratori. Ma erano strutture dotate di una forte resilienza, queste censure sono sempre state aggirate, le rogatorie per i sequestri dei server in molti casi sono miseramente fallite. E certo, anche sugli IMC ogni tanto si procedeva a cancellare certi contenuti, ricordo chiaramente quando, come admin di IMC Emilia Romagna, ci davamo praticamente i turni per moderare il newswire a pubblicazione libera durante un conflitto particolarmente teso tra due gruppi politici bolognesi, per togliere tempestivamente post e commenti in a base di insulti e divulgazione di dati personali. Ma il regolamento di Indymedia era un regolamen te discusso e deciso collettivamente dal collettivo di gestione, chiunque volesse contattarci poteva farlo facilmente, sia tramite mezzi telematici che presentandosi alle – più o meno periodiche – assemblee aperte. Vi erano alcuni punti fermi che permettevano di cancellare senza pensarci due volte commenti razzisti, fascisti, di spam e di pubblicità. Ma per qualsiasi altra cosa era possibile una discussione tra chi utilizzava il mezzo e chi lo gestiva.
Nella stragrande maggioranza dei casi on esisteva una distinzione netta tra gli amministratori di un nodo locale e chi lo utilizzava in modo, diciamo, passivo. Più o meno si frequentavano gli stessi spazi fisici, vi era un’idea di comunità in lotta, un’etica condivisa dai più, nessuno spazio per il lucro.
L’esatto contrario di un mezzo di comunicazione che invece nasce esplicitamente per il guadagno dei suoi azionisti.
Circa un mese prima di questa ondata di censura nei confronti dei contenuti riguardanti il Rojava Facebook aveva proceduto ad eliminare, senza preavviso alcuno, le pagine dei principali partiti politici esplicitamente neofascisti presenti in Italia. All’epoca alcuni dissero, a ragione, che c’era poco da festeggiare: la lotta verso i servi del capitale non la si può delegare al capitale stesso, così come non la si può delegare alle procure e alle mozioni comunali. Si ravvisava il pericolo che con le stesse motivazioni con cui Facebook aveva messo a tacere le pagine di questa marmaglia dal braccio teso – istigazione all’odio e alla violenza – la stessa azienda avrebbe potuto censurare chiunque si ponesse al di fuori dall’orizzonte liberale. E così è stato. Facebook sembra applicare alla lettere la teoria degli opposti estremismi, d’altra parte questa è un mantra per il pensiero liberale.
La questione della censura sui social media fa sorgere ancora una volta, e con ancora più forza, la necessità di dotarsi di propri mezzi di comunicazione. Che essi siano giornali cartacei come il nostro, siti web, radio in AM autogestite – e in Italia ne abbiamo diverse, per fortuna – è fondamentale avere la capacità di comunicare senza passare da canali padronali.
La stessa cosa vale per i social network. Esistono esperienze come varie istanze mastodon gestite da compagn*[1] che stanno cominciando a diffondersi. Certo non permettono una diffusione di massa come su Facebook, anche se bisognerebbe riflettere su quanto le notizie date da pagine di controinformazione riescano a bucare la loro bolla di riferimento, ma intanto permettono di creare canali nostri su cui si sia liberi di esprimersi al di fuori da logiche di estrazione del valore e di logiche censorie.
Ovviamente esiste un problema di fondo di qualsiasi esperienza di autogestione dei media digitali: l’informazione passa per canali fisici, ponti radio, satelliti, fibra ottica, doppino, che non sono controllati da noi. Anche questo è un tema su cui occorre riflettere e iniziare con sperimentazione che permettano di fornire un’alternativa ai provider, che sono legati spesso a doppio filo alle strutture statali, come sottolineavamo nell’articolo “Gli arcana imperii dell’economia dell’informazione” e “Anatomia di un’intelligenza artificiale”[2].
Intanto, siccome sappiamo che la pagina di Uenne presente su facebook è a rischio censura abbiamo proceduto a creare una pagina di riserva – Umanità Nova – Settimane Anarchico – e a creare un canale Telegram (raggiungibile dall’indirizzo t.me/umanitanova) . Inoltre siamo presenti, anche se al momento solo con un bot che ripubblicava automaticamente gli articoli dal sito, su mastodon.bida.im con l’account @uenne@mastodon.bida.im (al momento stiamo vedendo di renderlo un account vero e proprio e non un semplice bot, fermo, per altro, da qualche mese).
E non scordiamoci di altri mezzi fondamentale mezzo per la diffusione delle nostre idee: volantinaggi, diffusione militante, giornali e manifesti murari, chiacchere al bar e al mercato e, sopratutto, esempi pratici di autogestione. Che possono avvenire anche su internet.
lorcon
[1] si veda l’articolo “Autogestire i social”, apparso su Umanità Nova numero 9 anno 99, https://umanitanova.org/?p=9505 e sul blog photostream.noblogs.org
[2] “Gli arcana imperii del’economia dell’informazione” pubblicato su Umanità Nova numero 31 anno 96, https://umanitanova.org/?p=3667 e “Anatomia di un’intelligenza artificiale” apparso su Umanità Nova numero 31 anno 98 https://www.umanitanova.org/?p=8601 entrambi gli articoli son o disponibili anche sul blog dell’autore, photostream.noblogs.org